Simulare uno stupro. Per vedere cosa si prova, per fare un’esperienza, magari rifarla dal vero, se è piaciuta, oppure solo per giocare con un videogame nuovo e poi raccontarlo. Basta avere un qualunque computer per scaricare tutto da Internet: gioco e traduzione per usare i tasti della console e poter strappare indumenti a una donna e costringerla a subire una violenza. Non si può più comprare su eBay o Amazon perché dopo polemiche furiose, in Spagna, in Germania e in Irlanda, il gioco è stato vietato. Invece non solo si può scaricare, ma anche «moddare», cioè modificare per rendere la storia ancora più forte.
Come se le scene di Rapelay, questo il nome del «gioco», un composto da rape, stupro e replay, ripetuto, da sole non bastassero. Non fossero sufficientemente vere e violente. Il prodotto è giapponese, creato nel 2006, e le immagini riproducono fedelmente i personaggi dei fumetti manga. Quasi subito ha raggiunto i siti di vendita online più frequentati dai ragazzi in cerca dell’ultima «novità», dando il via a forti proteste da parte di associazioni e autorità. In America e in Gran Bretagna sono riusciti a bandirli dai siti web. In Irlanda a far scoppiare lo scandalo sono stati i laburisti che si sono trovati a dover discutere con centinaia di blogger che sostenevano la liceità di Rapley, sostenendo che ciò che si vive nel gioco non è molto diverso dall’immedesimazione durante un film violento.
Il protagonista è un maniaco che mette gli occhi su una famiglia composta solo da donne: madre e due figlie, una delle quali minorenne. E’ proprio quest’ultima a essere notata dall’aggressore. Il gioco incomincia alla stazione ferroviaria, dove è possibile zoomare sulla ragazza e alzarle la gonna, e prosegue sul treno dove iniziano le molestie. La violenza vera e proprio avviene esattamente a questo punto. I più esperti di videogame possono contare su opzioni aggiuntive, ad esempio sulla «modalità Freeform» grazie alla quale il personaggio controllato dal giocatore si getta su qualsiasi donna che incontra durante la storia e incita altri personaggi del gioco a partecipare all’azione.
Chi gioca a Rapelay prova ogni cosa dello stupro, prova la violenza e sente i pianti e le suppliche di chi implora di non essere toccata. Ma non basta questo a far vincere. Bisogna cominciare tutto daccapo, e bisogna costringere le vittime ad abortire altrimenti si subisce la loro vendetta: essere gettato sui binari al passaggio del metrò. Sui blog, in Italia, le opinioni degli internauti si sprecano. Ci sono quelli che si dicono disgustati, quelli che ritengono che possa servire a limitare gli stupri a donne vere, consentendo a potenziali violentatori di agire solo virtualmente. E poi ci sono gli entusiasti che l’hanno provato: hanno svestito e palpato una ragazza, poi l’hanno stuprata in una metropolitana. Non contenti hanno fatto la stessa cosa a un’altra donna, le hanno strappato la gonna, l’hanno fatta piangere, supplicare. E hanno violentato anche lei. Poi hanno mirato a una ragazzina, poco più che bambina, l’hanno svestita, l’hanno buttata sul letto della sua cameretta e hanno abusato di lei tra i suoi singhiozzi, accanto ai suoi peluche. Infine, ci sono quelli che si dicono delusi. Perché la trama è poco comprensibile, i protagonisti parlano in giapponese e bisogna impegnarsi molto per riuscire a trovare un programma di traduzione adatto. Senza contare che le scene - si sfogano nei siti specifici di commento ai videogiochi - sono «meno violente» di quanto si pensasse. A garanzia di parte della composizione del nome, gli stupri sarebbero fin troppo ripetitivi.